Sui concessionari, i fotografi e lo Spritz

Ad un certo punto quella caffettiera della mia auto ha mollato il colpo. Del resto aveva già sette anni e 75.000km al momento dell’acquisto.
Cinque anni e altri 75.000km dopo non le si poteva davvero chiedere di più.

Bene, mi documento un paio di mesi e sono pronto per la redazione di Quattroruote. Mi accingo quindi a buttare il mio tempo girando per concessionari.

Siccome sono affezionato al marchio, il primo è quello XXX. Tra l’altro avendo un usato loro da dare in permuta suppongo me lo valutino bene.
Arrivo, entro. C’è un po’ di gente che gira più o meno (ma soprattutto meno) affaccendata. E passano almeno 5 minuti prima che qualcuno mi chieda se mi serve qualcosa.

Vabbè, spiego che sono interessato all’acquisto di un auto (pensa…) e gli indico il modello che ho in mente.

Il tipo mi piazza in mano un depliant e mi dice che se poi voglio mi dice qualche prezzo.
Gli chiedo se non è possibile fare un test drive. No, la macchina non c’è in autosalone, c’è n’è solo una aziendale loro.
“Si può vedere?”
Il tipo a questo punto è piuttosto scocciato. Mi spiace per la vita sessuale di taluni.
Comunque mi porta sul piazzale e mi fa salire sull’auto.
Siccome è  il mio primo diesel chiedo lumi sulla rumorosità e se posso accenderla.
“Si ma non acceleri troppo. E’ capace di accenderla?”

No dai, dov’è la telecamera?

La decisione l’ho già presa da un pezzo ma è più forte di me, non riesco ad essere scortese. Quindi conto fino a tre e chiedo se mi ritirano l’usato e quanto possono valutarlo.
“Senz’altro, è un usato nostro”
Si, ok ma au mac is de fish, che colore ha il soldo?
“mah, 1000, 4000, lo decidiamo in fase di stipula del contratto”
E beh, evidentemente per uno che lavora in un concessionario ed ha problemi di potenza sessuale, 1000 o 4000 è la stessa cosa.

Fuoriesco.

Per evitare il ripetersi dell’esperienza chiamo il concessionario YYY per sapere se è possibile fare sto test drive.
“Si, no, solo sabato, si ma ad Alessandria (?), le faccio provare un altro modello che è la stessa auto”

Evviva il telefono.

Passo dal concessionario ZZZ che è la mia ultima scelta.
C’è un tipo solo che è impegnato con altri. Si scusa con loro 5 secondi per venirmi a dire che se ho un attimo di pazienza sarà subito da me.

Aspetto volentieri.
Gli dico a che auto sono interessato e lui subito mi propone di farci un giro.
Torniamo, mi fa accomodare e mi fa un preventivo senza che io gli chieda nulla.
Mi dice che la mia caffettiera che è un 2000 benzina da 170CV è difficile da rivendere e che hanno difficoltà a ritirarmela. Di solito le auto così o trovano un cubano che gli toglie li ammortizzatori e la fa ballare ai semafori o la spediscono in stock in Libano dove, pare, problemi di carburante e bollo non ne abbiano.
Però mi dice di aspettare un minuto, fa due telefonate e mi dice che mi da 2000 dollari che la da in mano a gente che gli pittura le fiamme sul lato e gli piazza un neon blu sotto.

Non so cosa avreste fatto voi, so che avete intuito cosa ho fatto io.

Certo le motivazioni ed i meccanismi che portano all’acquisto di un’auto piuttosto che un’altra sono diversi e complessi e forse può non essere l’esempio più calzante (Ma ci tenevo a parlare del deficit erettile del tipo di cui sopra)

Il succo della fazenda è che in un mondo in cui l’offerta di prodotto è ampia e in molti casi piuttosto omologata, quello che può e deve fare la differenza è il servizio.

Dice Howard Behar ex dirigente di Starbucks che la ragione del successo dell’azienda sta tutta in questa frase: “We’re in the people business serving coffee, not the coffee business serving people”
Si capisce?
E ancora Dane Sanders nell’ottimo Fast Track Photographer, chiede al lettore se davvero pensiamo che gli asset di Starbucks siano i negozi, la qualità del caffè o la particolare preparazione del personale. Se bruciassero tutti gli Starbucks dell’universo, sarebbe la fine dell’azienda?

Il vero valore di Starbucks sta nel servizio.

Il grandissimo Zack Arias afferma di essere uno che lavora nella “Service industry” prima che nel settore della fotografia.
E lo ripete nel suo OneLight Workshop e nel CreativeLive weekend Workshop (che se non avete ancora acquistato è come non avere il DVD di American Beauty, Matrix, L’esercito delle 12 scimmie). Prima di tutto si tratta di servire il cliente, metterlo a proprio agio, accoglierlo in un ambiente adeguato, offrirgli qualcosa da bere, fare due chiacchiere e così via.
Dovrebbero essere buona educazione e professionalità prima di un buon servizio. E dovrebbero esserlo anche se sei un malmostosone. O un venditore d’auto con problemi di natura sessuale.

Io ancora mi stupisco di come ancora si faccia fatica a essere trattati da esseri umani in un qualunque ristorante della bassa padana (le cose cambiano e spesso di parecchio scendendo nello stivale…) (ah, già che ci sono, in molti dei suddetti ristoranti si mangia veramente di melma).
Si vede che c’è talmente turnover da potersi permettere un atteggiamento simile. Fuori un cliente un altro.
Nel settore in cui lavoro io sto lusso non se lo può permettere davvero nessuno. Ormai sono tutti fotografi. Alcuni hanno anche talento. Perchè scegliere quello antipatico, quello coi brufoli, quello che mi ha offerto l’acqua ma era fredda da frigo?

Io se tratto male un cliente, oltre a lui, ne perdo 10. E comunque lo ribadisco, dovrebbe essere prima di tutto questione di cortesia, buona educazione e professionalità.

Quindi,

non dovresti quindi lamentarti se una coppia ti chiede di riceverla dopo cena, anzi, dovresti essere tu ad anticiparli e proporre loro l’orario più comodo. E se è un problema venire in studio offriti di andare da loro. Io viaggio con una Louis Vuitton (falsa chiaramente) con tutti gli album e mi spacco schiena e spalle per portarli da tutti quei clienti che magari hanno un bimbo piccolo o semplicemente delle difficoltà a muoversi la sera.

In studio poi non dovrebbero mai mancare Aperol, prosecco e salatini di diversi foggia, gusto e fattura. (ricordati il ghiaccio per favore…) (ah, colgo l’occasione di scusarmi con quella coppia a cui ho offerto lo Spritz già fatto, colpa tua Martis, non prenderlo mai più!)

Happy Aperol

Un commento su “Sui concessionari, i fotografi e lo Spritz

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